Domenica 14 aprile 2024
presso l’Aula Didattica sita al terzo piano della Clinica Oculistica del
Policlinico, Piazza Giulio Cesare, n. 11 a Bari si è tenuta l’assemblea
ordinaria dei soci dell’Associazione Pugliese per la Retinite Pigmentosa – OdV.
In tale occasione il dott.
Ugo Procoli, Presidente del Comitato Scientifico Regionale dell’A.P.R.P., ha
avuto agio di dare gli aggiornamenti scientifici rispetto allo stato dell’arte
della ricerca sulla Retinite Pigmentosa e alcune informazioni rispetto alle
modalità di visita oculistica seguite al Policlinico di Bari.
In riferimento all’assemblea
dei soci del 28 maggio 2023 in cui l’Associazione aveva invitato a presenziare
la famiglia di Francesca, paziente affetta da Amaurosi Congenita di Leber
sottoposta a luglio 2022 presso la Clinica Oculistica del Policlinico di Bari a
terapia genica, primo caso trattato in Puglia, il dott. Procoli informa i
presenti che è stato eseguito il controllo medico a un anno dall’intervento e i
dati si confermano buoni: il miglioramento visivo rispetto al pretrattamento si
è conservato stabilmente; inoltre, la stessa paziente che ormai è una
pre-adolescente ha riscontrato una sensibile variazione qualitativa della sua
vita sociale, riuscendo a muoversi in autonomia e senza timore anche nelle ore
serali senza l’accompagnamento dei suoi genitori. Resta la preoccupazione che
tali risultati possano svanire nel tempo, ma per ora si è fiduciosi nel loro
mantenimento.
La Clinica Oculistica di Bari
studia da vicino tale caso anche perché è stata inclusa in uno studio
multicentrico internazionale per la valutazione degli effetti avversi a lunga
distanza dal trattamento della terapia genica per l’RPE65. Secondo la bibliografia
scientifica, il rischio più elevato che si possa verificare durante
l’intervento è l’insorgenza di aree di atrofia corioretinica nella sede
trattata nei mesi successivi all’intervento. Tali zone si presentano come una
cicatrice permanente abbastanza estesa. Per far intendere le proporzioni,
Procoli paragona la superficie retinica a un piatto di dimensioni ragguardevoli
e la lesione a un mandarino in tale piatto. La procedura consiste
nell’inoculare il volume del farmaco nella sottoretina del paziente; a ciò
segue la creazione di una bolla di liquido sotto la retina, che porta a un
distacco iatrogeno; nelle condizioni più favorevoli, tale bolla si riappiana
perché il liquido si riassorbe nel giro di pochi giorni. L’effetto collaterale
si può presentare per vari incidenti intraoperatori: per un motivo qualsiasi
l’ago non è in sede perfetta o probabilmente ha riscontrato delle aderenze
tissutali in prossimità della zona di inoculazione; in questi casi, si cerca una
seconda sede di inoculazione e questa circostanza aumenta il rischio della
formazione di aree atrofiche. Ovviamente il chirurgo, a seconda delle
dimensioni che assume questa bolla, può interrompere prima la somministrazione
del farmaco. Le aree di atrofia non pregiudicano comunque il risultato da un
punto di vista visivo perché sarebbero in una zona in genere abbastanza
periferica rispetto alla macula, cioè alla porzione nobile che dà riscontro
della reale acutezza visiva del soggetto. Tale avversità si verifica con più
frequenza nei soggetti in età giovanile in quanto la loro reattività cellulare
è sicuramente maggiore rispetto a quella dei pazienti in età più avanzata: essa
si presenta come una risposta indiretta immunitaria alla sede di inoculazione
del gene stesso. Francesca, tuttavia, non ha sperimentato questo tipo di
reazione.
Da anni la Clinica Oculistica
segue i protocolli diagnostici condivisi a livello internazionale: essi
prevedono la visita oculistica, l'esecuzione dell'OCT, dell'elettroretinogramma
e del campo visivo come esami strumentali. A essi possono seguire esami più
specifici eseguibili a Bari.
Un nuovo tipo di accertamento
scientifico è rappresentato dall’FST, l’unico test oggettivo di soglia
luminosa, che necessita di un apparecchio già predisposto presso la Clinica;
tale esame è peraltro previsto per l’autorizzazione alla somministrazione del
farmaco Luxturna. La procedura dura venti minuti e deve essere eseguita in un
ambiente di buio assoluto: il paziente viene posto davanti a una sorta di
campimetro, formato da una piccola cupola in cui compare uno stimolo flash
luminoso; il soggetto riceve l’istruzione di premere un pulsante ogniqualvolta
percepisca tale luminescenza. La domanda, cioè lo stesso stimolo luminoso,
viene ripetuta a distanza di tempo in modo tale da verificare l’attendibilità
della risposta fornita in prima battuta: se c’è congruità di risposte, il dato
diventa affidabile e quindi indirettamente oggettivo. Sebbene sia descritto
come semplice, il dott. Procoli avendolo testato su sé stesso ammette che i
punti critici sono rappresentati dalla lunghezza dell’esame e dalla complessità
della preparazione del soggetto.
Il Presidente del C.S.R.
passa poi brevemente a ponderare l’oggettività degli altri esami visivi
comunemente eseguiti. Giudica il test di acutezza visiva come un ottimo sistema
immediato di valutazione; tuttavia, esso si affida alla soggettività del
paziente, nonché al suo grado di collaborazione che spesso viene compromesso
dal suo stato di affaticamento. D’altra parte, l’elettroretinogramma può essere
considerato un buon test oggettivo in quanto l’oculista registra la risposta
bioelettrica dei fotorecettori e ne ricava un valore numerico; la problematica
di tale esame consiste nel fatto che la valutazione non corrisponde
necessariamente a un dato clinico, quindi rilevante da un punto di vista
qualitativo: per esempio l'ERG scotopico risulta piatto sia nel caso di un
paziente con distacco di retina, sia di uno affetto da Retinite Pigmentosa.
La terapia genica costituisce
ancora il metodo su cui la ricerca scientifica sta puntando. È stata
recentemente pubblicata un’analisi compilativa dei trial clinici realizzati dal
1990 al 2022 in tutto il mondo per la terapia genica per la Retinite Pigmentosa:
ciò consente abilmente di fare un sunto dello stato della ricerca. Il criterio
attraverso cui i trial sono giudicati realmente efficaci e quindi riconosciuti
dalla letteratura scientifica sono quelli attuali: è, perciò, esclusa una
percentuale di sperimentazioni eseguite in epoche diverse da quella odierna che
poi non sono proseguite per delle valutazioni etiche. Il documento scientifico
analizza centoundici trial. Si è certificato che all'incirca quattordici sperimentazioni
vengono proposte per anno e che nel 2021 tale numero è salito a ventuno. Il 74%
del totale è sponsorizzato dall'industria farmaceutica e solamente il 26% è
appannaggio dei centri di ricerca. Gli stati che supportano attraverso
finanziamenti tali ricerche sono nell’ordine: per il 62% gli Stati Uniti
d’America, per il 13% la Cina, per il 4% la Germania, per il 4% il Giappone,
per il 3% la Francia, per il 3% l’Olanda, per il 3% l’Inghilterra, per il 2% la
Spagna, per il 2% la Svezia, per l’1% l’Australia, per l’1% il Canada, per l’1%
l’India, per l’1% l’Irlanda, per l’1% Israele, per l’1% l’Arabia Saudita.
Secondo il dott. Procoli, l’Italia verrà presto inclusa nell’elenco nell'ambito
dello studio di Luxturna perché è proporzionalmente la nazione con il maggior
numero di pazienti trattati.
Procoli ricorda che la
difficoltà delle sperimentazioni risiede nell’ottenere i parametri validi per
superare le quattro fasi di cui sono composte: la fase 1 è quella della
sicurezza, della tollerabilità del farmaco; nella fase 2 si valuta l’efficacia
del farmaco su un numero ristretto di soggetti affetti dalla patologia presa in
esame e si prendono in considerazione gli effetti avversi; se si hanno dei dati
incoraggianti, si passa alla fase 3, in cui si fanno degli studi multicentrici,
cioè si allarga il gruppo di analisi attraverso la cooperazione di vari centri
medici sul territorio; la fase 4 prevede l’approvazione del farmaco da parte
degli organi competenti (l’AIFA per l’Italia, l’FDA per gli Stati Uniti
d’America); in coda alla fase 4, sono approntate anche delle valutazioni
post-marketing, cioè dopo che il farmaco viene messo in commercio, in cui si
continua a prestare attenzione all’efficacia sulla lunga durata.
I trial clinici che superano
la fase 3 sono circa il 13-14% del totale. La percentuale nella Retinite
Pigmentosa sui centoundici trials ha portato a una percentuale realizzazione
dello 0,6%. In realtà, l'unico farmaco che è arrivato in fase 4 è Luxturna.
Molte sperimentazioni sono ancora ferme alla fase iniziale. Lo scoglio principale
della Retinite Pigmentosa è che si tratta di una malattia genetica legata a tanti
geni diversi: il dott. Procoli sostiene che il progresso futuro sarà avere tante
terapie quanti sono i geni coinvolti nella malattia visiva. Per ora, soltanto
il gene RPE65 ha una prospettiva terapeutica, ma si sottolinea che gli altri
studi stanno proseguendo per far fronte alla problematica di trasporto del
farmaco da inoculare nella retina: infatti, i geni variano notevolmente di
dimensione a seconda del loro tipo e questo fa sì che ci siano dei geni
facilmente inoculabili perché microscopici come l’RPE65 e altri grandi circa
trenta-quaranta volte tanto. Per quest’ultimo caso, le strade percorribili sono
due: o si riesce a spezzettare il gene che si dovrà autonomamente ricomporre
all’interno dell’occhio oppure bisognerà creare un virus, vettore del farmaco,
che sia in grado di trasportare una dimensione ragguardevole. La prima ipotesi
di ricerca sembra quella più promettente in quanto l’utilizzo di un vettore più
grande aumenta notevolmente il rischio di un’importante risposta immunitaria
che porterebbe alla disintegrazione del farmaco.
Un’altra problematica
riguarda la distinzione di trattamento tra forme autosomiche recessive e forme
autosomiche dominanti. Nel primo caso, la soluzione genica è stata trovata: si
cerca di aumentare la funzionalità della retina attraverso la produzione di un
gene sano introdotto per inoculazione mediante un vettore; è stato dimostrato
che è una strategia vincente nel caso del gene RPE65 tramite Luxturna.
Tuttavia, tale tecnica non è sufficiente per le forme autosomiche dominanti: in
questo secondo caso, ci sono degli studi allo stadio iniziale in cui si tenta
di sopprimere o deteriorare il gene che funziona male perché fornire
esclusivamente quello sano non apporta un miglioramento dal punto di vista
clinico. Vi è inoltre il caso delle forme spurie di Retinite Pigmentosa, in cui
si ha maggiore difficoltà a individuare il gene responsabile della mutazione:
gli studi, perciò, sono ancora fermi all’analisi delle forme dubbie.
Si sta puntando molto
sull’optogenetica, che accosta un trattamento genetico a uno cosiddetto optico.
Tale tecnica nasceva nei primi anni 2000 nell'ambito delle sperimentazioni per
le terapie neurologiche e ha ottenuto un certo grado di riconoscimento intorno
al 2010. Si è notato che può fornire delle risposte promettenti anche in ambito
oftalmologico: sfruttando cellule che normalmente non sono fotorecettori,
attraverso l'inoculazione di sostanze geniche si ha una modifica del
funzionamento dei canali del calcio e tali cellule iniziano a produrre dei
segnali bioelettrici sotto uno stimolo luminoso attualmente di colore blu. Si
sta ancora lavorando su modelli animali, in genere topi o gatti, e si è
verificato attraverso la PET, quindi attraverso indagini neuroradiologiche, che
è possibile attivare aree neurocorticali utilizzando questo tipo di sistema.
Ovviamente, tali risultati potrebbero essere smentiti una volta in cui si
prenderà in considerazione la sperimentazione su umani. Si è anche incerti
sulla durabilità degli effetti di tale trattamento a lunga gittata. Procoli
paragona l’optogenetica alla retina liquida in quanto a procedura
d’applicazione: essa non è una modifica genica, ma l’inoculazione di sostanze
negli spazi sottoretinici. È, infatti, una soluzione acquosa con
microparticelle fotosensibili che si distribuiscono negli spazi sottoretinici e
attraverso una stimolazione luminosa sono capaci di generare un segnale
bioelettrico. Anche le sperimentazioni riguardanti la retina liquida sono ferme
allo stadio animale. Tuttavia, essa risulta promettente in quanto assume una
distribuzione di materiale non organico molto più estesa di quella del
trattamento optogenetico fino a ricoprire l’intera superficie retinica: ciò,
perlomeno a livello concettuale, darebbe un miglioramento dell’acutezza visiva non
solo nella regione maculare, ma anche nella periferia dell’occhio. Tuttavia,
tale estensione provocherebbe un distacco di retina non più localizzato
esclusivamente nel polo posteriore della macula in quanto il materiale
inoculato sarebbe di proporzioni tali da coinvolgere una regione di cui non si
possono conoscere a priori i tempi di riassorbimento dopo la stimolazione.
Per criteri etici, per ora i
soggetti coinvolti nelle sperimentazioni devono avere un visus particolarmente
ridotto e quasi sempre la maggiore età. Tuttavia, si sta verificando sul campo che
quanto minore è l'avanzamento della patologia, tanto migliore è la
conservazione del visus; perciò, concettualmente oggetto delle sperimentazioni
dovrebbero essere pazienti con dieci decimi. Secondo Procoli, questo sarà il
futuro dei trial, una volta in cui si sarà assicurata la mancanza di rischi
elevati, quando cioè si sarà raggiunto un buon rapporto rischio/beneficio che
comporterà complicanze modeste e mantenimento; a tale altezza temporale, si
potrà procedere anche a abbassare l’età dei soggetti coinvolti per sfruttare la
maggiore reattività cellulare giovanile.
Il Presidente del Comitato
Scientifico Regionale assicura che presso il Policlinico di Bari è possibile
richiedere e ottenere una diagnosi molecolare per Retinite Pigmentosa grazie
all’azione della prof.ssa Resta, genetista che da qualche tempo collabora in
sinergia con il reparto di Oculistica. Tale esame è gratuito per i pazienti
affetti o che godono dell’esenzione per malattia rara; nel caso in cui la
specialista senta il bisogno di allargare l’indagine a altri membri della
famiglia, esso resta gratuito; diventa a pagamento se il paziente di sua
iniziativa voglia ricreare geneticamente il suo albero genealogico. Il primo
passo resta la cosiddetta prima visita dell’oculista: formalmente, cioè, si
controlla che il soggetto sia effettivamente affetto da Retinite Pigmentosa. Se
tale visita purtroppo dà esito positivo, si procede al rilascio di un
certificato di esenzione per malattia rara e un certificato di patologia con
diagnosi. Contestualmente, si consiglia la consulenza genetica, indicando il
numero verde che è gestito dal Centro delle Malattie Rare:
800 89 34 34
Nel reparto di Genetica il
soggetto è sottoposto preliminarmente a un colloquio conoscitivo per ipotizzare
di quale forma di Retinite Pigmentosa si tratti; dopodiché viene programmato il
prelievo per l'indagine stessa attraverso l'impegnativa del medico di base. La
ricerca viene eseguita su più geni contemporaneamente nell’U.O. di Genetica di
Bari, in cui il risultato del test viene confrontato con una banca dati
piuttosto ingente, aggiornata ogni due settimane, e la corrispettiva
letteratura scientifica. Rispetto al passato in cui tali prelievi venivano
inviati in nazioni come l’Irlanda per essere analizzati, oggi i tempi si sono
accorciati notevolmente e si è passati dall’attesa di anni a quella di tre o
quattro mesi. Purtroppo, nell’ultimo periodo c’è bisogno di più tempo a causa
della mancanza di personale in laboratorio.
Viste le grandi prospettive
di terapia per il gene RPE65, si procede anche a effettuare un tampone salivare
che si limita però esclusivamente a questo gene: tale indagine si svolge al
Genoma Group a Milano e i campioni vi arrivano tramite sistema delivery direttamente
dal Policlinico di Bari; i tempi di attesa per la risposta del tampone salivare
sono di circa due mesi.
Il dott. Gianfranco Taurino
assicura che l’Associazione è pronta a supportare la ricerca attraverso
l’acquisizione di nuova strumentazione medica a servizio della Clinica
Oculistica o dell’U.O. di Genetica.